Eccomi
al primo anno di scuola superiore, siamo in giugno al saggio finale
di pianoforte; pantaloni bianchi, camicia hawaiana di seta: il
professor Alberto Bruni, il mio futuro amico, mentore, sodale. Il
nostro primo incontro è di quelli classificabili come “rottura di
ghiaccio”, cioè io stavo per suonare un minuscolo brano di Dimitri
Kabalevsky e il professore del corso parallelo a quello che io
frequentavo, mi si avvicina e facendomi coraggio si rivolge a me come
se fossimo “alla pari”; sì, due musicisti che chiacchierano –
cercando di ingannare l'attesa – prima di una esibizione:
rilassati, informali... Questo lo stile del prof. Bruni; si perché
all’epoca non era ancora Alberto e il “tu” – sebbene sempre
sottinteso – non era l’abituale prassi.
Da
questo primo incontro in cui l’agio ricevuto mi aveva messo nella
condizione (allora per me sicuramente pretenziosa) di sentirmi un
“collega” – avevo circa quattordici anni – passò poco tempo,
sennonché a dicembre mi ritrovai a fare da volta pagine all’armonium
impegnato nella Petite Messe Solennelle di Giochino Rossini
(in Duomo a Cremona). Inaspettatamente vidi il M° Bruni – con
tanto di impeccabile frac – venirmi incontro, stringermi la mano,
salutarmi facendomi gli “in bocca al lupo” – lui a me! – poco
prima di entrare in scena (lui era il pianista, cioè colui a cui
Rossini aveva affidato una scrittura orchestrale assai impegnativa).
Di nuovo lo stile di Alberto: quello di chi non ha certo bisogno di
titoli, sovrastrutture, paludate consuetudini, per mostrare chi è e
cosa fa. Un vero artista, cioè colui che – come diceva Robert
Schumann – non può scindere la propria vita dall’arte e la
musica dalla propria esistenza.
Ma la
vera strada che mi ha portato a condividere molta parte della mia
esistenza (post-adolescenza... vita adulta, maturità) con un vero
amico (pochi se ne possono contare in questa vita) è stata la
naturale adesione al mondo dell’infanzia – o meglio, dell’ideale
di infanzia che ci portiamo nel cuore una volta persa la spontaneità
fanciullesca – il gusto per l’attesa e la scoperta che rendono
speciale “la notte più lunga dell’anno”. Il passaggio dal 12
al 13 dicembre – il giorno di Santa Lucia – un giorno speciale in
cui i bimbi aprono cupidamente i doni che la santa siciliana porta a
Cremona, accompagnata dal fido asinello. Scampanellare per strada
facendo sentire i dolci tintinnii ai bambini chiusi in casa,
inebriati dalla gioia per l’attesa e dalla frenesia che la notte
passi velocemente, ha messo a nudo un lato comune e genuino del nostro
umano sentire... Chissà, forse anche lo Schumann delle Kinderszenen
(che Alberto spesso ha suonato in contesti umanitari) sentiva
qualcosa del genere, quando scriveva per i fanciulli di un tempo, i
poeti di oggi.
Grazie
all’assidua frequentazione con Alberto ho imparato tanto,
tantissimo: l’importanza dell’analisi musicale, dell’armonia,
della composizione, dell’estetica musicale – naturalmente la
necessità di una tecnica pianistica ferrea supportata dalla memoria
compositiva – l’immenso universo umanitario della musica di
Gustav Mahler attraverso il medium Leonard Bernstein. La
grande letteratura per pianoforte, i concerti per pianoforte e
orchestra di fondamentale conoscenza: Mozart, Beethoven, Schubert,
Schumann, Chopin, Liszt, Debussy, Ravel, Rachmaninov. Il repertorio
liederistico, il melodramma italiano che Alberto padroneggiava come
pochi – Puccini in primis –
avendo accompagnato una moltitudine di cantanti lirici nel
corso della sua carriera. All’epoca io avevo una autentica
predilezione per la musica sacra tedesca, essendo affascinato
dall’organo a canne, e Alberto dovette lottare non poco con i miei
pregiudizi a proposito dell’opera lirica; in certa misura l’ebbe
vinta!
Negli
anni della mia formazione musicale mi fu sempre accanto, i suoi
numerosissimi e forbitissimi esempi al pianoforte mi furono di enorme
conforto (essendo io dotato di una scarsa tecnica pianistica) quando
decisi di studiare musicologia. Prima della mania compulsiva di
procurarsi di tutto e di più attraverso il commercio on-line,
ci recavamo – come fosse un pellegrinaggio – a fare acquisti a
Milano (soprattutto spartiti, durante le vacanze natalizie) e a
Brescia (che nostalgia l’Iperdue di Portici X giornate, con
quella miriade disordinata di dischi!).
L’amico
vero c’è sempre nella buona e nella cattiva sorte: durante la mia
prima autentica esperienza dolorosa – l’incidente, la lunghissima
agonia, la morte di mio nonno – ugualmente durante i giorni più
belli della mia vita – fidanzamento e matrimonio – regalandomi
tanto del suo affetto, della sua spontaneità, della sua dialettica –
a volte prorompente e sopra le righe, più spesso ammansita dal suo
profondissimo pudore di persona per bene. Alberto agiva
spontaneamente, sempre guidato dalla sua sensibilità per la giustizia
e dal buon senso, entrambi derivati da un’educazione sana. Potevi
ritrovartelo alla porta di casa inaspettatamente e altrettanto
imprevedibilmente incontrarlo nella hall dell’albergo che ti
ospitava durante le vacanze estive, perché era venuto a trovarti (ti
aveva fatto una gradita sorpresa)... Lui c’era sempre... Anche
quando è mancato improvvisamente mio padre e vivevo da protagonista
in un incubo a occhi aperti, cercando inutilmente di svegliarmi...
Avevo già sperimentato la sensazione di morte interiore nel momento
in cui mio nonno se ne andò; quando lo raggiunse anche mio papà –
precedendomi con un preavviso che sa di polvere bruciata – il vuoto
interiore, la morte di una parte dell’anima, si manifestò più
forte e irreversibile... eternamente identica. Bastava alzare la
cornetta del telefono e Alberto c’era sempre – come era solito
affermare – a qualsiasi ora del giorno e della notte! Ed era vero,
non era solo un modo di dire. Viaggi, concerti, prove, aeroporto,
escursioni varie... sempre disponibile... Alberto: una presenza
costante nella mia vita privata, familiare e pubblica, su cui potevi
inequivocabilmente contare! Sino al 26 luglio del 2013, una data
limite che ha fissato l’apice del baratro, la catastrofe, la
rottura con la normalità, con la quotidianità: la depressione mi ha
divorato inaspettatamente. A quella data risale la nostra ultima
lunghissima telefonata su skype... Quasi due anni prima della sua
prematura scomparsa (allo scoccare di quella tragica data, per di
più, mi trovavo in Giappone e non ho potuto salutarlo come avrei
voluto).
Come
accade quando l’amicizia è vera e sincera, possono passare giorni,
settimane, mesi... anni; ma quando rispondi al telefono è come se ci
si fosse appena lasciati. Facciamo due passi, chiacchieriamo del più
e del meno... a casa mia... non importa dove, come, quando, perché...
Stiamo insieme, parliamo, ci sfoghiamo, ci confidiamo, scherziamo,
discutiamo animatamente... poi una risata sgangherata scoppia dal
nulla... tutto ritorna alla normalità. Quella normalità che mai più
tornerà, perché quando un amico sincero se ne va, muore anche una
parte di te; non il ricordo che rimane vivo e lucente; è l’anima
che rimpicciolisce.
Più
si invecchia e meno amici ti rimangono... caro amico, tu non hai
fatto in tempo a invecchiare; come mio padre... forse non hai provato
paura per la morte... Ti sei ritrovato dall’altra parte a vegliare
sempre su tutti quanti continueranno volerti bene. Alla prossima,
Alberto!
Michele Bosio
HO
CONOSCIUTO ALBERTO
Ho
conosciuto Alberto nel 1989, quando per me era ancora il professor
Bruni: ero in prima media alla “Campi” e fu il mio insegnante di
Educazione Musicale. Già molto originale allora, simpatico quanto
sorprendente nei modi di fare: ricordo un’infinità di momenti in
cui noi alunni cercavamo di farlo impazzire, mentre lui stoicamente
resisteva.
Ricordo
ancora che, mentre il prof. era impegnato a spiegare la lezione, io e
la mia compagna di banco spingevamo i nostri due banchi sempre più
avanti, centimetro per centimetro, senza farci vedere, fino ad
attaccarci alla cattedra. Sapevamo che la cosa lo disturbava, del
resto noi eravamo una classe di “perfidi” undicenni. Quando poi
notava la nostra insolita vicinanza si alzava in piedi con aria
sbalordita, ci chiedeva spiegazioni e spostava la cattedra
all’indietro; ma noi naturalmente dopo pochi minuti ricominciavamo
di soppiatto la nostra manovra e – come ci si può immaginare –
una volta arrivata la fine dell’ora era il nostro caro prof. a
essere praticamente con le spalle al muro.
Altre
volte lui raccoglieva i diari di tutti gli alunni, già all’inizio
dell’ora di lezione, per dare le note ai più vivaci oppure per la
classica punizione “scrivo 100 volte: non devo disturbare
durante l’ora di Educazione Musicale”, stando molto attenti a
scrivere “Educazione Musicale” con le maiuscole – teneva molto
ai dettagli – concedendo la facoltà di abbreviare in “Ed. Mus.”.
I suoi alunni, soprattutto quelli più vivaci, erano da lui
soprannominati “bambocci”.
Ricordo
le barzellette che ogni tanto raccontava per alleggerire i momenti di
lezione. I ricordi sono veramente tanti: il suo marsupio, capiente
come un pozzo senza fondo; i capelli raccolti a codino e gli occhiali
da sole con lenti a specchio blu elettrico; le mollette da bucato per
fermare gli spartiti; quel suo modo particolare di applaudire;
insomma, quel suo modo unico di essere e di fare, che ci lasciava
sempre in bilico tra il sorpreso, l’incuriosito e il divertito.
Per
raccontare un altro piccolo aneddoto, in un pomeriggio di giugno di
tanti anni fa io e alcune mie amiche andammo alla fiera di San
Pietro, salimmo sul trenino dell’orrore e, terminato il giro, chi
trovammo ad aspettarci all’uscita? Naturalmente lui! Orologio alla
mano ci comunicò: “ci avete messo esattamente 3 minuti e 20
secondi”.
Quante
risate ci siamo fatte insieme al prof. Bruni! Per me quelli erano
davvero anni magici: ogni settimana Cremona proponeva tantissimi
appuntamenti per chi era appassionato di musica classica, opere,
concerti, danza... In quel periodo condividemmo – io e altre
compagne di scuola insieme ad Alberto – tanti splendidi progetti,
come la meravigliosa esperienza dei Carmina Burana di Carl
Orff al teatro “Ponchielli” nel 1996, davvero indimenticabile!
Oppure la partecipazione al coro “Ponchielli Vertova”,
un’avventura non lunghissima (circa un paio di anni) ma ricca di
ricordi, come ad esempio le lunghe chiacchierate al termine delle
prove di canto.
Diciamo
pure che Alberto è stata la personalità che più è riuscita a
coinvolgermi e ad appassionarmi a una materia – la Musica con la
maiuscola – che poi mi ha accompagnato per buona parte dei miei
studi futuri. Fu in quegli anni che diventò così semplicemente
“Alberto” e non più il “professor Bruni”. La sua figura di
frequente accompagnava i momenti musicali della città, sia perché
lui stesso suonasse sia perché, ogni volta che andassi ai vari
concerti, ero praticamente sicura di incontrarlo: da dietro un angolo
appariva e mi diceva “eccoti qua!”.
Una
sera ci disse: “se partiamo adesso potremmo andare in piazza San
Marco a Venezia a mangiarci un gelato e poi torniamo!”. Era
abituato a fare tanta strada, sempre in sella al suo amato e
inseparabile scooter, passione che ce lo ha portato via fisicamente,
ma che non potrà mai cancellare i ricordi, gli anni, la musica,
tutto quello che è stato per me e per noi, un “gruppetto” di
suoi amici, prima ancora che ex alunni, che lo ricordano ogni giorno
con immenso affetto e che lo porteranno sempre nel cuore.
Rossella Fornari Carubelli